La lenta ripresa degli investimenti dopo la bufera virale, la sofferenza del cinema, lo strapotere di Google e le nuove frontiere del product placement nel settore videoludico.

I dati sull’andamento del settore pubblicitario, divulgati pochi giorni fa all’evento annuale di UNA – Aziende delle Comunicazione Unite – intitolato Comunicare Domani, dicono di una lenta ma promettente ripresa rispetto al quadro tragico che avevamo riportato al debutto del nostro blog: a quanto si apprende dal Centro Studi dell’associazione, le previsioni sulla chiusura del 2020 indicano sì una decisa contrazione causata dalla pandemia (-12,2%), con un valore di mercato che dovrebbe raggiungere i 7,7 miliardi di euro: in fondo una botta meno pesante di quanto appunto si temeva a luglio, che si spingeva a temere anche un -17,4%.

In questo scenario UNA si allinea alle ultime stime dell’UPA, prevedendo che la ripresa proseguirà ulteriormente nel corso del 2021, portando il valore di mercato a 8,7 miliardi di euro, con una crescita anno su anno del 13%, che quindi riporterebbe il settore non lontano dai livelli del 2019 (cioè intorno agli 8,8 miliardi di euro).

Le flessioni saranno leggermente differenti da quanto stimato quest’estate, ma è chiaro che nel 2020 tutti i mezzi sono stati colpiti dagli effetti dell’apocalittico Covid: il cinema chiuderà ahinoi a -49% per via delle chiusure delle sale, dello stop delle produzioni e dei rimandi nelle uscite di titoli molto attesi come lo 007 No Time to Die o il Dune di Villeneuve (e qui vi riportiamo la protesta della CNA Cinema e Audiovisivo dal profilo social di Franco Bocca Gelsi). Seguono la stampa con i periodici a -31,5%), l’esterna OOH a -30,2% (meglio del -34,4%ipotizzato a luglio) e la radio con un -20,9%. Complici diverse abitudini di fruizione dei media dovute a questa eccezionale situazione, registrano un andamento migliore del previsto la stampa quotidiana (-20,7% contro il -27,4% stimato a luglio), la tv (-12,3%) e il comparto web/digital, col suo -5,3%, ben più confortante del -12,1% ipotizzato a luglio, con un’aspettativa di crescita del +14,3% per il 2021.

E questo nonostante che – come c’informa la newsletter IdeeIdeas – L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Antitrust), su segnalazione di Iab Italia, abbia aperto un’istruttoria su un possibile abuso di posizione dominante da parte di Google nel mercato italiano dell’advertising online. Un tema, quello dello strapotere di Big G, in particolare in rapporto ai giornali, che torneremo ad approfondire il prossimo 5 novembre nella Finestra di Antonio Syxty dedicata a Luca De Biase, caporedattore di Nòva, che già l’ha toccato sul suo blog.

Un comparto dell’advertising che frattanto si evolve dinamicamente è quello del product placement: ce lo fa capire l’interessante articolo su Wired. Se non siete degli appassionati di videogiochi già in attesa di provarlo, l’attesissimo videogame Cyberpunk 2077 della polacca CD Projekt Red contiene: l’attore Keanu Reeves digitalizzato (rilancio della star di Matrix forse già in declino), al volante della futuribile Porsche 911 Turbo nei panni di Johnny Silverhand, progettata appositamente per il gioco modificando un modello del 1977 della casa tedesca; e poi una ricca colonna sonora, in cui spiccano  brani Bad Guy della giovanissima pop star Billie Eilish (fenomeno musicale invece in piena esplosione, autrice anche del tema del 25° film di 007) e dei rapper Run The Jewels. Esempi di quella che l’autore del pezzo Emilio Cozzi definisce giustamente “brandizzazione interattiva”, adottata da griffe come Louis Vuitton e colossi globali come Amazon, Red Bull, McDonald’s e Coca Cola, Nike, Adidas o Gilette, Mercedes-Benz e Renault, per fidelizzarsi il pubblico dei giovani/ssimi, ossia i consumatori di domani.

Tutto naturale, direte: il product placement esiste da decenni, dalle Aston Martin guidate da James Bond ai pacchetti di sigarette o alle bottiglie di whysky maneggiati da detective e duri d’ogni sorta ed epoca immortalati dal cinema, fino alle rock star inserite nelle colonne sonore dei film prodotti da multinazionali dell’entertainment integrate colle rispettive divisioni discografiche e così via. Oggi il settore del videogioco a livello mondiale cuba un volume di business ormai superiore a quello delle industrie cinematografica e discografica messe insieme (QUI gli ultimi dati di mercato dell’associazione di categoria IIDEA), quindi naturale che i grandi brand puntino a quello come nuovo contenitore di visibilità di massa per i propri prodotti.

Ma anche il settore videoludico è oggi sul crinale di grandi evoluzioni: lo scorso 21 settembre Microsoft ha acquisito Bethesda, una griffe prestigiosissima per i videogiocatori di tutto il mondo appassionati di titoli come Doom o Fallout, e si prepara ad investire massicciamente sulla distribuzione dei propri titoli su piattaforme di streaming in abbonamento (un po’ come Netflix e Amazon Prime per le serie tv). L’attuale Xbox Game Pass e Xbox Game Pass per Pc permettono già di scaricare giochi da un catalogo molto corposo anche se i giochi non sono in streaming. Negli ultimi mesi proprio questo servizio di Microsoft, anche grazie ad una promozione aggressiva (si poteva provarlo per un 1 euro al mese durante il lockdown), ha conquistato tantissimi abbonati segnando record su record. È recente la notizia che Microsoft ha stretto un accordo con EA per portare il suo catalogo nella versione Ultimate di Xbox Game Pass, facendo felici molti italiani che amano giocare a Fifa.
La situazione è tale che Microsoft ha spesso dichiarato che non ha importanza da quale piattaforma si gioca! E proprio mentre teoricamente infuria la console war per la nuova generazione di macchine da gioco. Comunque Xbox X series (in Italia dal 10 novembre) e PS5 (in Italia dal 19 novembre) saranno tra poco sugli scaffali per far gola ai giocatori in vista dei regali di Natale.

Anche Sony ha lanciato Playstation Now per cercare di rispondere all’exploit di Microsoft, ma il servizio non sta andando molto bene sul mercato e l’azienda ha dichiarato che il modello di Microsoft è destinato a non essere sostenibile nel lungo periodo, quindi non sta considerando di seguire la stessa strategia di Microsoft. Tatticismi? La situazione non è chiara, intanto il già citato Google si prepara ad investire massicciamente sulla sua piattaforma di distribuzione di giochi in streaming: Stadia, già attiva in Italia anche se con un portfolio non molto ricco per il momento.

Dove si orienteranno ora i consumatori? L’abitudine alla fruizione digitale domestica del lockdown avrà un peso nel definire le strategie vincenti? Sono altri vibranti interrogativi, su cui torneremo presto dando voce agli addetti ai lavori con altre interviste alla Finestra di Syxty e qui sul blog, presentando i suoni di Cyberpunk 2077 a Wonderland e recensendo il gioco su Posthuman.

Il mondo sta cambiando velocemente, tornate a trovarci presto.