Il produttore, presidente di CNA Cinema e Audiovisivo Milano Lombradia, spiega i problemi del settore e l’assenza delle istituzioni.


Il paradosso è che il periodo di isolamento che tutti abbiamo vissuto ci ha portati – mentre sale cinematografiche, teatri, festival e tutti gli spettacoli pubblici venivano bloccati – a consumare non meno bensì molto più video fra le pareti di casa: film e serie alla tv in chiaro, sui canali a pagamento, sulle piattaforme di streaming online e chi più ne ha più ne metta: dirette social, podcast e tutto quanto la moderna tecnologia video digitale ci ha messo a disposizione per contrastare il distanziamento sociale.

Eppure, a maggior ragione in una situazione eccezionale come questa, le istituzioni italiane brillano per un’assenza pericolosissima, che rischia di lasciare in ginocchio un settore cruciale dell’economia oltre che della cultura italiana”.

È il monito di Franco Bocca Gelsi, produttore cinematografico con Gagarin e presidente di CNA Cinema e Audiovisivo Milano/Lombardia, che recentemente ha lanciato un appello alle istituzioni – sia attraverso il comunicato che leggete QUI, sia attraverso un video, diffuso prima in esclusiva dal Corriere della Sera e poi anche su canali social – perché dedichino un sostegno particolare alla filiera produttiva cinematografica, che rischia il collasso.

L’esperto risponde

LiquidSky gli ha chiesto di spiegare questo allarme, anche alla luce delle promesse del MIBAC di destinare stanziamenti straordinari per 130 milioni di euro per il cinema, l’audiovisivo e lo spettacolo dal vivo.

Se parliamo della sola Lombardia, la regione più colpita dall’epidemia, ci riferiamo a un settore che dà lavoro a circa 20.000 persone, che producono un volume d’affari sui sei miliardi di euro, lavorando per oltre 2.000 aziende, il 75% delle quali ha sede a Milano, storicamente una capitale del cinema (prima che Mussolini desse vita a Cinecittà a Roma)”, inquadra il problema Bocca Gelsi. “Perché il lettore non deve pensare che questi professionisti lavorino tutti in Mediaset, alla sede regionale RAI e in qualche grossa agenzia pubblicitaria: il settore è composto perlopiù di PMI, talvolta micro aziende, sottocapitalizzate e sottostaffate, che hanno difficoltà ad accedere ai finanziamenti bancari, quindi non possono permettersi di assumere dipendenti, se non quando hanno la certezza di vedersi commissionato un lavoro”.

Un settore nobile ma polverizzato

L’audiovisivo comprende – oltre ai film e alle serie tv – gli spot pubblicitari e i video aziendali, i video clip musicali, i cortometraggi e i documentari, i video d’animazione per i videogiochi etc.; ha una filiera produttiva lunga, che impiega professionalità molto differenziate (montatori, doppiatori, tecnici del 3D, musicisti specializzati in colonne sonore etc.) e realizza prodotti che vanno dall’entertainment puro al cinema d’autore o alla video art più sperimentale”, continua il produttore. “È per tutelare l’opera d’arte dal rischio di sparire schiacciata dal prodotto di puro entertainment – che prevedibilmente vince sul mercato ma è prevalentemente un prodotto d’importazione made in USA – che è stata istituita la cosiddetta ‘eccezione culturale’, ossia la possibilità che lo Stato finanzi fino all’80-90% un’opera cinematografica di elevato valore artistico. Ebbene, il problema è questo: il MIBAC si è avvantaggiato in una certa misura del fatto che molte Regioni si sono dotate di fondi (non tutte e non in materia continuativa purtroppo), e hanno a loro volta istituito le Film Commission, fondazioni volte a far da cerniera fra istituzioni pubbliche e mercato nel sostegno e indirizzo delle politiche sul cinema”.

Un meccanismo incompleto?

Purtroppo la legge non chiarisce bene come queste commissioni debbano agire e su quali assi investire”, spiega sempre Bocca Gelsi. “Ad esempio, nella Film Commission della Lombardia – che si compone di solo 5 persone e cui peraltro manca da anni una figura di direttore generale – sono rappresentati gli interessi degli assessorati alla Cultura e al Turismo, ma non quello alle Attività Produttive”.

E questo, torniamo a chiedere al produttore, ha conseguenze negative?

Ha la conseguenza che l’investimento tende a valorizzare le località della Regione proponendole come possibili set per le riprese e a promuovere il relativo indotto: è ovvio che, se si gira ad es. un inseguimento di 007 in motoscafo sul lago di Como, alberghi, ristorazione, turismo e attività correlate trarranno indubbio giovamento dall’offrire temporanea ospitalità a una troupe numerosa e certamente di grande visibilità mediatica. E tutto ciò va benissimo, sia chiaro…

Investire per stare sul mercato

Invece cosa manca?

Manca l’investimento sulla produzione propria: un fondo stabile rivolto in parte a progetti di realtà locale che li metta nella condizione di dare vita a prodotti culturali e di spettacolo in grado di farsi largo competitivamente sul mercato nazionale e internazionale e da un’altra ad attrarre grandi produzioni. Mi spiegherò con un esempio: perché una serie tv come Il Commissario Nardone, benché ambientata a Milano, è stata girata per metà a Belgrado? Perché se la produzione, per effettuare le riprese a Milano – che intuitivamente sarebbe più pratico – perde più tempo e denaro in richieste di autorizzazioni e permessi per girare negli spazi necessari, può trovare paradossalmente più conveniente trasferirsi all’estero, dove evidentemente si trovano esterni simili al capoluogo lombardo senza essere schiacciati da una burocrazia paralizzante. Ecco, questa non è un’occasione perduta per la Regione oggi più colpita dall’epidemia? E sappiate che non sono poche le produzioni ambientate a Milano che sono state spostate a Torino, dove guarda caso opera una Film Commission attiva e dotata dei fondi necessari”.

Ahò, ‘i Ammerigani…

Il vostro appello – che tra l’altro è stato ripreso dal Tg3 Lombardia della RAI – ha smosso le acque?

“Speriamo di vedere qualche cerchio nell’acqua, ora che si comincia a pensare alla ripresa, perché finora dalle istituzioni non si è ricevuto alcun segnale d’interesse nell’aprire un tavolo di discussione sul problema di questo settore. Eppure, Milano è l’unica città italiana che può avere un ruolo significativo a livello europeo: pensate che multinazionali dei media come Apple, Disney, Fox e probabilmente anche Amazon prevedono di aprire qui le proprie sedi. Ma si sa, nella tutela degli interessi economici gli americani sono molto più efficienti di noi e hanno da anni colonizzato il nostro mercato: in poche parole a malapena riusciamo a sopravvivre, altro che impresa assistita dal denaro pubblico!”.

Purtroppo, le recenti notizie sulla guerra commerciale USA-Cina sugli smartphone danno drammaticamente ragione al produttore milanese. Speriamo che lo scossone virale segni la nascita di un “mondo nuovo”.

Mario G