Intervista con Antonio Syxty di MTM sull’attuale situazione del teatro in Italia: una premonizione dell’incertezza del nuovo ciclo economico?


La mia ultima esperienza da dipendente di un’agenzia di comunicazione terminò alla fine del 2012. Preoccupato di dover progettare un futuro da libero professionista a quasi cinquant’anni, per di più dovendone affrontare le incertezze in un momento non proprio promettente (la crisi del 2008 era cosa recente), ne parlai a caldo con Antonio Syxty, direttore artistico delle Manifatture Teatrali Milanesi (realtà nata dalla fusione del Teatro Litta con il teatro Leonardo e Quelli di Grock), con il quale già avevo collaborato proprio insieme a Walter (avevamo tratto un video dal suo spettacolo Visioni di Solaris).

Ho sempre ricordato la sua risposta, che più o meno suonava così: “Una volta noi che lavoravamo in teatro eravamo quelli che s’imbarcavano in una carriera priva di certezze, mentre la gran parte di chi ci veniva a vedere di giorno contava su un solido impiego a tempo indeterminato. Oggi stanno crollando quelle certezze: in pratica state diventando un po’ tutti teatranti”.

In questo 2020 in cui si rischia di perdere quasi due milioni di posti di lavoro (cfr. intervista con Peviani di Confcommercio), quel commento suona ancor più profetico: allora il teatro, che ormai nella società contemporanea digitalizzata viene spesso considerato un rituale di nicchia per intellettuali nostalgici, in realtà ha ancora un insospettato potere di prefigurare scenari a venire, e non solo con i propri testi, le visioni e le messe in scena, ma con la propria stessa struttura?

Parte di qui la nuova chiacchierata col Syxty, regista teatrale, ma anche cine-televisivo e pubblicitario, oltre che artista concettuale. La crisi virale che ci auguriamo d’aver quasi concluso ci ha sbattuti tutti sul palcoscenico del crollo definitivo di un’epoca?

In un certo senso sì, non certo nel senso che si diventa tutti teatranti ma in quello che ormai tutti i lavori stanno diventando precari o almeno ‘liquidi’ come vi definite voi, come storicamente sono stati non solo quelli legati al teatro, ma anche quelli del cinema (cfr. intervista con Bocca Gelsi), della musica (cfr. la recente protesta ‘#iolavoroconlamusica’, NdR), insomma tutti i professionisti dello spettacolo. Pensate alla classica reazione di panico dei genitori all’annuncio da parte di un figlio dell’ambizione di lavorare in teatro (o come filmmaker, batterista rock etc.): l’assennata famiglia già prevedeva un futuro non solo d’incerti guadagni e nessuna carriera, ma anche di mutui negati dalle banche per l’acquisto di casa in assenza di reddito stabile. Tutti problemi che ricordo benissimo perché sono anche la storia della mia vita: fortunatamente, oggi che questa è diventata appunto una situazione generalizzata alcune banche e assicurazioni stanno proponendo soluzioni finanziarie più flessibili, adatte anche per chi ha redditi variabili nel tempo.

Ecco, il motivo per cui mi è sembrato utile parlare del settore teatrale in un blog focalizzato sulla comunicazione aziendale era questo: non solo rilevare l’importanza economica del settore, a livello di occupazione, sviluppo di professionalità peculiari e serbatoio di competenze per i contigui settori del cinema, della tv e della pubblicità, ma proprio evidenziare questa valenza di precursore di scenari socio economici che oggi riguardano anche settori che con la cultura o l’entertainment non hanno nulla a che vedere

Sì, certo, ormai il mito del ‘posto sicuro’ regge solo per chi ha lauree in campi tecnico scientifici particolari e molto focalizzati, come l’ingegnere aziendale o il fisico quantistico, che poi magari in Italia non riuscirà facilmente a fare ricerca nel campo che l’ha appassionato all’università ma troverà sicuramente occupazione nell’impiego di strumenti statistici per una banca o una finanziaria.”

Questa crisi epidemica – come abbiamo già scritto – ha incrementato la fruizione di contenuti di entertainment televisivo e digitale, ma ha pesantemente colpito lo spettacolo dal vivo: tournée di gruppi pop, musical e, ovviamente, teatro…

Il lockdown ha solo rimarcato in maniera ancor più forte il fatto che stiamo vivendo una fase di passaggio epocale: c’è un mondo prima della rete e un mondo dopo la rete. Più ancora dell’innovazione portata dalla televisione, internet sta avendo per la civiltà umana una valenza paragonabile alla scoperta del fuoco. Nulla sarà più come prima, e non solo nel teatro: oggi il ciclo di attenzione dell’individuo è più breve, ma anche quello della celebrità sembra la realizzazione della profezia di Andy Warhol sul mitico ‘quarto d’ora di celebrità’, che infatti più o meno spetta a ognuno di noi quando si racconta sui social network.”

Anch’io ho letto di una ricerca recente che prefigurava un inesorabile accorciamento del ciclo di vita della pop star: in pratica, se oggi Bob Dylan è ancora una star per il duraturo sedimento della sua opera musicale iniziata negli anni ’60, non possiamo aspettarci che ad es. un Ed Sheeran nel 2050 possa avere un peso analogo…

Assolutamente: oggi diventi improvvisamente un fenomeno virale, fra cinque anni sei già sparito. E questi tempi di attenzione e di fruizione più veloci si riproducono anche in campo cinematografico, dove hanno contribuito al successo delle serie televisive presso il pubblico giovane: lunghe trame verticali, ma che si sviluppano su episodi di circa 45 minuti, finito uno dei quali puoi anche staccare e dedicarti ad altro. Questo, tradotto nel nostro campo, significa ad esempio che concepire uno spettacolo teatrale che duri tre ore è praticamente un suicidio: il pubblico non ti segue. Oggi un’ora è l’arco temporale su cui puoi credibilmente lavorare.”

Voi come state reagendo a quest’evoluzione epocale?

Al momento non siamo ancora in condizione di tornare a fare spettacolo normalmente – continua sempre Syxty – perché le disposizioni di legge ci obbligano a sanificare tutti gli spazi: platea, palco, uffici e così via. Attualmente i nostri dipendenti sono in cassa integrazione, ma temo che quando riapriremo a settembre anche noi non potremo riassumere l’intero staff che avevamo un anno fa. Inoltre, l’obbligo del distanziamento sociale fa sì che in una sala da 200 posti non si possono vendere più di 40 biglietti: se il teatro già prima era una produzione che difficilmente ripagava i propri costi attraverso lo sbigliettamento, ora diventa davvero impossibile.”

Il che ahinoi sta portando direttamente verso la chiusura numerose piccole realtà del teatro off (cfr. ad es. il dolente proclama del Teatro I, da noi più volte recensito sul sito Posthuman).

Come dicevamo, il momento è epocale e si rifletterà – non senza dolore – su molti aspetti della nostra vita. Certo, il teatro non morirà nemmeno adesso, perché è radicato nel DNA stesso dell’essere umano, ma probabilmente andrà verso forme di fruizione diverse: quando la riapertura sarà completa torneranno in scena i grandi concerti pop e i grandi musical nelle arene, ma certe forme di teatro di ricerca che non possono aspirare a un riscontro di massa probabilmente dovranno tornare a esistere in forme underground, com’è stato in certi periodi passati per motivi diversi (magari di censura religiosa o politica). Lo stesso ministro Franceschini ha detto che il teatro dovrebbe seguire il modello del servizio in abbonamento alla Netflix.
Certo, questa fase porterà con sé anche la dolorosa perdita di molti posti di lavoro nel nostro settore. Anche perché i primi tempi noi lavoreremo quasi senza incassare, perché molti spettatori verranno a teatro usufruendo dei voucher relativi ai biglietti già acquistati prima dell’epidemia per spettacoli che poi abbiamo dovuto annullare.

Mi confermi un quadro poco promettente…

Bisogna sempre tenere presente che il nostro Paese, che pur vanta d’essere patria mondiale della cultura, ha una spesa individuale media pro capite per la cultura di circa 150 euro al mese (che nel Sud scende intorno ai 90 euro, fino anche a soli 66, da un articolo del Sole 24 Ore): significa che ci sono schiere d’italiani che non solo non vanno mai a teatro (il cui pubblico ormai ha un’età mediamente superiore ai 50 anni), ma neppure comprano un libro (quasi il 40% degli imprenditori e dirigenti, fonte AIE, NdR), né vanno a un concerto o pagano il biglietto per vedere un film in sala. E la percezione comune è ancora quella che alla manifestazione culturale si accede (forse) solo se è gratuita. Questa è la realtà. Quindi se un sindaco ha un certo budget (di solito modesto) da investire in una stagione del suo teatro comunale o in una rassegna estiva, calcolati i costi per la messa in sicurezza non potrà che ridurre il cartellone offerto. Anche la stagione di ripresa del Litta sarà ridotta a un minor numero di spettacoli.

Intravedi delle possibili soluzioni a questa tragica selezione darwiniana?

Il fatto è che a questa fase di crisi generalizzata, del teatro, del cinema, della musica, del turismo come della ristorazione, degli eventi live e dei convegni, non fa riscontro una parallela riduzione del costo della vita in una città ‘cara’ come ad esempio Milano. Secondo me, se si vuole affrontare il problema a livello di collettività, bisognerebbe fare come in alcune metropoli nordeuropee – ad esempio Copenhagen – dove un certo quartiere viene adibito a ‘residenza artisti’ e lì gli affitti sono più bassi, mangiare al ristorante o bere una birra costa meno, e il Comune investe per coprire la differenza; in questo modo garantendo all’ecosistema cultura un habitat vivibile, che poi consente all’intera collettività di fruire dei benefici di un settore artistico fiorente.

Scendendo a strumenti al momento più immediatamente disponibili, ho notato che praticamente tutte le compagnie teatrali hanno cercato di mantenere il contatto con la propria base di pubblico attraverso iniziative online: progetti collettivi, condivisione di video, offerta di dirette social con reading, interviste, presentazioni e dibattiti sul mezzo web per ovviare all’impossibilità del contatto fisico col pubblico. È una strategia che ha funzionato?

Per noi molto: il nostro pubblico ci ha seguiti sul canale MTV TV, come nelle dirette Instagram e su tutti i canali social. Molti spettatori ci hanno addirittura donato il prezzo dei biglietti già acquistati senza richiedere il voucher, per aiutarci a superare la fase difficile. E poi, come sempre accade in questi momenti, la necessità aguzza l’ingegno e s’inventano servizi nuovi finora impensabili: per esempio, abbiamo offerto i nostri attori per girare dei video di auguri da mandare in omaggio via mail agli amici che compivano gli anni, su testi scelti da chi faceva il regalo. È solo un esempio, ma sono certo che il mezzo web ne vedrà nascere molti altri come spore. In fondo, il teatro è entità mutante… proprio come un virus!”

Chiudiamo su questa nota di speranza, che un ‘mondo liquido’ salvi anche il teatro generando nuove opportunità dalle ceneri di quel che sparisce, e dandovi appuntamento per giovedì 23 alle ore 19 per una diretta video con Antonio Syxty, sui temi della comunicazione ai tempi del Corona.

Mario G.