Intervista con Andrea Peviani di Confcommercio Milano Lodi Monza e Brianza sull’impervia ripresa delle PMI dalla crisi epidemica. L’iniziativa dello SPortello INnovazione per aiutarle nella trasformazione digitale.


La spina dorsale dell’economia italiana è un’estesa galassia di PMI, questo ormai lo sanno anche i sassi. È quindi facile intuire che la ripresa da una batosta senza precedenti dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ad oggi, come il lockdown alla cui conclusione speriamo di essere ormai avviati, presenta un ulteriore aspetto di criticità per un bacino d’imprese perlopiù piccole quando non piccolissime, che più delle poche grandi rimaste nel Belpaese faticano a disporre dei mezzi – materiali ma spesso anche culturali – necessari per il rilancio.

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Per fare il punto su questa rilevante componente del sistema economico nazionale, abbiamo raccolto il punto di vista di Andrea Peviani, Responsabile Marketing e Sviluppo Associativo di Confcommercio Milano Lodi Monza e Brianza, la cui base associativa è largamente composta proprio dalla tipologia di imprese di cui parliamo, per capire di quali problemi queste soffrono concretamente e quali strategie di comunicazione possono aiutarle a risollevarsi.

I dati ISTAT più recenti ci dicono di un -8,3% atteso nel PIL a livello aggregato e di una temuta perdita di circa due milioni di posti di lavoro”, spiega Peviani. “Chiaramente, una situazione che è già tragica per il sistema Paese rischia di essere davvero senza speranza per le realtà più piccole, come molti dettaglianti e operatori della ristorazione e del turismo, ma anche per moltissime PMI dei servizi, fra cui troviamo dai consulenti e liberi professionisti non rappresentati da ordini a quelle realtà come parrucchieri, centri estetici, dalle officine meccaniche ai riparatori di elettrodomestici o ai servizi informatici e così via. Le nostre stime su questo bacino di aziende, di dimensioni da uno a 50 dipendenti, spaziano da un 20 a un 30% circa di ditte che rischiano di non sopravvivere anche dopo la piena riapertura delle attività economiche. Molte di esse poi non chiuderanno ma, mentre già ora si stanno barcamenando fra la cassa integrazione per i dipendenti (e le relative difficoltà dell’INPS a far fronte alla marea di richieste), probabilmente finiranno per licenziare una parte della propria forza lavoro, riducendosi così a dimensioni ancora più micro. Di certo è uno scenario inedito, anche per l’Italia che aveva affrontato (e peraltro non ancora del tutto superato) la crisi finanziaria del 2008.”

E quali sono le principali difficoltà che devono affrontare le piccole e piccolissime imprese?

chiusuraEssenzialmente il fatto che – oltre ad essere povere di mezzi finanziari da investire – sovente sono anche povere in senso culturale, ossia non hanno le risorse strategiche per progettare un rilancio. Da un nostro recente sondaggio sull’innovazione a sostegno della ripresa post COVID19 nei settori della ristorazione e del commercio al dettaglio, risulta per esempio che gran parte di questi operatori ha una buona consapevolezza dell’opportunità/necessità di avvalersi dei nuovi strumenti digitali e dei canali social per promuoversi, perché più o meno bene li sta già utilizzando, perché la clientela li richiede o comunque sono diventati palesemente indispensabili per farsi trovare da essa. Già questo fatto costituirà inesorabilmente un primo meccanismo di selezione darwiniana fra le imprese in grado di rilanciarsi in un mondo che cambia e quelle destinate purtroppo ad affondare.”

E chi si è già o si sta ora digitalizzando, si avvale di specialisti o tende a far da sé?

Ovviamente le piccole dimensioni spingono molti a cercar di fare tutto in casa, coll’idea di risparmiare o per paura di essere ‘spremuti’ da professionisti più furbi che strategici, in materie in cui faticano a valutare la reale proficuità del contributo proposto loro. Quando poi un consulente esterno si rivela un’esperienza negativa, oppure tentando di arrangiarsi si scopre che non è così facile farsi largo nell’oceano dell’offerta per diventare ‘fenomeni virali’, rischia di subentrare lo sconforto e quindi la diffidenza verso strumenti che non si è preparati ad impiegare. Ecco perché le idee confuse abbondano fra questi imprenditori, anche perché nessuno li ha sinora aiutati ad avvicinarsi ai nuovi strumenti e spesso non hanno neppure una specifica formazione sugli strumenti di marketing tradizionali.”

Quindi in realtà c’è un grande spazio per offrire una consulenza avveduta a queste realtà, per non dire una vera necessità vitale da parte loro…

Assolutamente sì: anzi, per il piccolo imprenditore la consulenza strategica è decisamente prioritaria rispetto al servizio tecnico (come la mera costruzione del sito, dell’ecommerce o del profilo social etc.). Perché spesso questa tipologia di imprenditori sente un’esigenza di aggiornarsi ma – appunto per quel gap culturale di cui si diceva – non ha bene a fuoco che cosa serve esattamente al proprio specifico business per evolvere in chiave digitale, quali strumenti approcciare per raggiungere quali obiettivi. Non tutti sanno bene che cosa si può ottenere, per esempio, da uno spot pubblicitario al cinema (o da una tabellare sul giornale locale) piuttosto che da un’attività di ufficio stampa o da una campagna di lead generation online, e tantomeno a quali costi.

Naturalmente – continua sempre Peviani –  va da sé che non esiste  ‘la ricetta ideale da PMI’, ma l’approccio corretto si trova analizzando con attenzione il singolo caso, capendone le esigenze e aiutando l’interessato a mettere a fuoco i propri reali obiettivi, studiando il suo mercato di riferimento, la concorrenza diretta e i big player attivi in quel settore, evidenziando le leve di vendita percorribili. Per fare un esempio, se ci troviamo in un settore merceologico in cui il big player è Amazon, è impensabile competere con le offerte promozionali e le consegne a casa del colosso globale: il piccolo offerente dovrà puntare su quel che lo rende unico, come la qualità del servizio, la capacità di consigliare il consumatore finale, il contatto personale e così via. Questi concetti per un consulente esperto possono sembrare l’ABC, quasi delle ovvietà, ma per conquistarsi la fiducia di questo nuovo bacino di clientela è importante saperli spiegare chiaramente anche a chi magari non ha studiato marketing all’università.”

E cosa fa Confcommercio per “spezzare il pane” della comunicazione moderna per la ripresa?

Abbiamo diverse iniziative in campo: anzitutto è stato recentemente attivato il progetto SPIN, ossia lo SPortello INnovazione, (la cui presenza online sarà progressivamente sviluppata e articolata), che intende essere una ‘stanza di collegamento’ appunto fra imprenditori e potenziali consulenti da noi selezionati: il lockdown ci ha obbligato a lanciare l’iniziativa solo attraverso incontri online, ma questa modalità ha in realtà incontrato molto favore da parte dei nostri associati, che così superavano più agevolmente i problemi logistici e di tempo degli appuntamenti in luoghi fisici, che frenano molte persone.
Nello Sportello è previsto che Confcommercio svolga un ruolo di ponte fra l’imprenditore cliente e il professionista, per agevolare l’avvio della relazione fra i due poli.

C’è poi un’altra iniziativa, più adatta per l’imprenditore che ha raggiunto una sufficiente confidenza con gli strumenti in questione da potersi orientare da sé per trovare ciò che fa al caso suo, in un marketplace progettato per agevolare l’incontro fra domanda e offerta: grazie ad Asseprim, la Federazione dei servizi professionali per le imprese di Confcommercio, può accedere al portale dei servizi professionali varato da pochissimi giorni: si chiama Servizi Pro Impresa e – come ogni marketplace online – non prevede la mediazione di nostre figure terze rispetto ai contraenti, ma ha l’ambizione di sviluppare relazioni commerciali virtuose fra le imprese dei diversi settori rappresentati da Confcommercio.”

“Da ultimo – conclude il manager di Confcommercio – i nostri associati di dimensioni mediamente più grandi, o comunque dalle mire commerciali che si spingono oltre i confini nazionali, possono avvalersi del supporto di AICE (Associazione Italiana Commercio Estero, aderente a Confcommercio), che offre alle aziende associate un’assistenza completa su tutte le problematiche connesse allo sviluppo della propria attività sui mercati esteri.”

Il momento rimane tutt’altro che facile, la selezione fra le piccole imprese sarà severa ma – come ogni fase di crisi – porta in sé anche le potenzialità di aprire nuovi orizzonti, per chi saprà parlare la giusta lingua a nuovi interlocutori.

Mario G.