La nostra intervista a Roberta Enni, direttore di Rai Gold, sulle strategie della Rai del 2020 e sugli orizzonti della tv lineare nel tempestoso scenario attuale.

La vocazione della Rai è sempre stata quella di essere ‘per tutti’. Oggi deve anche essere ‘per ciascuno’, perché la platea è diventata una moltitudine di nicchie”. È un po’ la summa teologica del pensiero di Roberta Enni, direttrice di Rai Gold.

LiquidSky l’ha intervistata per approfondire il discorso sull’evoluzione dei media – e in particolare della televisione lineare – in questo periodo di grande evoluzione, in cui il consumo mediatico è cresciuto per effetto dei lockdown, gli investimenti pubblicitari calati a causa della crisi economica, in cui  le piattaforme web on demand (SVOD e AVOD) attraggono crescenti fette di spettatori (soprattutto giovani) e quindi investimenti pubblicitari, di cui già s’è detto nel nostro precedente articolo.

Rai Gold comprende Rai Italia, che si rivolge agli italiani all’estero, mentre Rai 4, Rai Movie, Rai Premiumrappresentano l’ampliamento dell’offerta Rai aldilà dei tre canali generalisti, insieme al canale culturale Rai 5, a Rai Storia, a RaiGulp e Rai YOYO e ai due canali sportivi”, spiega Enni (che nel 2010 partecipò all’avvio di Rai 5), precisando che ora il portale di Raiplay sta progressivamente assorbendo le attività di riproposta, specie delle fiction Rai, per cui originariamente era nato Rai Premium. “Dal punto di vista dell’audience, Rai Premium oggi è un canale a vocazione femminile-familiare, come invece Rai 4 ha un pubblico tendenzialmente più maschile”.

Quindi, anzitutto, la nostra curiosità va a capire quale sia la strategia che il gruppo Rai intende sviluppare attraverso quest’offerta in cui si va integrando il crescente ruolo di Raiplay, visto che il dato del +136% di pubblicità sulle smart tv è sicuramente impressionante, specie in un momento depresso come l’attuale.

Naturalmente, il dato è sempre relativo: se il mezzo è nuovo e ieri non esisteva, è facile fare il 100% in più di niente. Poi è chiaro che la pubblicità segue il pubblico, ovvero i target: quindi gli inserzionisti che cercano di contattare un’audience mediamente più giovane e ‘digitally smart’ la trova più facilmente su questi media. Dove poi l’evento in diretta, come i reality o i talent show attivano anche il nuovo fenomeno della visione condivisa da una community, ad es. un gruppo di amici che commentano anche il programma in diretta sui social, tenendosi in contatto coi messaggini o addirittura con la condivisione degli schermi. In questo campo, ad esempio Il Collegio è un format che ha un buon successo fra i giovani”.

Ma allora perché la produzione di fiction della Rai oggi è così orientata su fiction dall’impianto così tradizional-familiare, o come si diceva anni fa “nazionalpopolare”?

Penso che sia inutile mitizzare il passato di un’ideale ‘golden age’ che secondo me esiste più che altro nei nostri ricordi: la realtà è che oggi, rispetto al passato – anche grazie al bouquet di canali di cui sopra – il gruppo Rai produce un numero di ore di programmazione (sia d’informazione che di entertainment) molto superiore rispetto al passato, cercando di mantenere un certo livello qualitativo in un’offerta estremamente più ampia e differenziata, che non è certo esclusivamente ‘per famiglie’, questo è un cliché. Ad esempio, il programma Wonderland cui collabori anche tu non ha certo l’ambizione di piacere a milioni di persone: intende piuttosto piacere molto ad alcuni, i pionieri di generi e linguaggi innovativi, magari stuzzicare la curiosità di qualcun altro su visioni eccentriche, ma un format così non potrebbe andare in onda neppure nella Rai 3 storica! Così come i documentari d’arte o le riprese di teatro e opera di Rai 5 richiamano un pubblico di età più elevata e livello culturale altissimo. Ecco perché dico che la Rai si rivolge ‘a tutti e a ciascuno’: perché oggi un ‘servizio pubblico’ deve appunto offrire un servizio, quindi proporre anche occasioni d’informazione, approfondimento culturale, ampliamento dei gusti oltre all’entertainment, e doverosamente andare verso un pubblico, proponendo la cosa giusta al target giusto”.

Però oggi le serie di grande successo fra i giovani sono tutte importate: non si corre il rischio di lasciare alle grandi piattaforme multinazionali il pubblico di domani e di concentrarsi su un’audience matura che oggi in Italia è anche numerosa ma tra qualche anno non ci sarà più e… allora chi continuerà a guardare la Rai?

Anche questo è un cliché: la fiction Rai non ha abbandonato i generi cui alludi tu, come il noir e anche il fantastico: I bastardi di Pizzofalcone(Rai 1), tratta dai romanzi di De Giovanni, e Rocco Schiavone da Manzini con lo sdrucito Marco Giallini (Rai 2), sono due esempi di ottimo noir all’italiana moderno che si nutre di casi dell’attualità. E, se tutto rimane confermato, a fine gennaio debutterà su Rai 1 Il Commissario Ricciardi, (QUI l’unico trailer al momento disponibile, NdR), la serie ispirata ancora ai fortunati romanzi di Maurizio De Giovanni (da cui anche la serie a fumetti edita da Bonelli), con Lino Guanciale nel ruolo del protagonista: un detective nella Napoli degli anni ’30, con la peculiarità di vedere gli spettri delle vittime di morte violenta, che nutrono le sue indagini. Anche con La Porta Rossa, altro noir pieno di medium e di visioni del futuro, come vedi, non abbiamo ripudiato l’elemento fantastico”.

Però, come dicevo, dobbiamo dare il prodotto giusto al pubblico giusto: fare una fiction per Rai 1 è una sfida molto dura, perché se poi il prodotto finito ottiene poniamo un 5% di share, che potrebbe andare bene magari per Rai 3, su Rai 1 rappresenta un flop, non significa che siamo dei coraggiosi ma solo che non abbiamo saputo intercettare l’interesse che quella rete è in grado di raccogliere.


L’Alligatore
(su Rai 2, dai romanzi di Massimo Carlotto, con le calde musiche del valente Teho Teardo, NdR) messo su Rai 1 sarebbe semplicemente un investimento sbagliato, ma non è che perciò non sia stato fatto: è stato prodotto eccome ed è andato bene su Rai 2. E poi, permettetemi una piccola provocazione: non è che non ci sia innovazione anche in prodotti molto nazionalpopolari: per esempio, il Don Matteo del 2020 è molto cambiato dal personaggio originale ideato dal regista Enrico Oldoini nel 2000: è evoluto e forse ti stupirà sapere che oggi ha un suo successo in qualche modo ‘di culto’ anche fra i ragazzi, non solo fra le nonne che lo guardano coi nipotini!”.

E per quanto riguarda la produzione cinematografica di genere?

Anche nella cinematografia attuale – continua la Enni – non siamo affatto spariti: per una nazione piccola come la nostra, inesorabilmente più debole dell’industria americana, siamo ben presenti anche a livello internazionale: qualche anno fa che chance avresti prospettato a un soggetto come quello di Lo chiamavano Jeeg Robot? Oggi c’è una qualità italiana e direi anche europea – francese, spagnola (e non solo nell’horror che noi amiamo!) – che ci rende abbastanza orgogliosi di essere europei e non solo una ‘colonia americana’”.

“Ma in ogni caso – conclude la direttrice di Rai Gold – in ognuno di questi campi, io sono contraria a guardare sempre all’indietro: preferisco guardare avanti, a quello che faremo più che a quello che è stato fatto in passato”.

Restate connessi: torneremo sull’argomento.


P.S.:

Cyber Queen of Screens è una spiritosa rielaborazione by Roberta Guardascione del ritratto dell’intervistata, per sua gentile concessione.

La successiva Multiple Liquid Screens è una tavola realizzata sempre da Roberta rielaborando una foto di Mario G.

La seguente foto Old Time Tv è uno scatto di Mario G ripreso alla mostra Short-circuits di Chen Zhen, in corso all’Hangar Bicocca di Milano.

Le immagini successive sono di repertorio sui fumetti tratti dai romanzi di De Giovanni, Lino Guanciale nell’imminente Commissario Ricciardi e Matteo Matari in quello dell’Alligatore di Carlotto.